[!-- box_start --][table width=\"98%\" align=\"center\" cellpadding=\"5\" cellspacing=\"0\" border=\"1\" bordercolor=\"black\"][!-- box_start --][tr bgcolor=\'lightblue\'][td colspan=\'2\']
TOOL - Lateralus
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Genere: Alternative Metal / Experimental
Anno: 2001
Etichetta: Volcano
[/td][/tr][tr][td width=\'155\'][img hspace=\'5\' width=\'150\' src=\"http://www.ondarock.it/pietremiliari/cover/lateralus.jpg\" align=\'left[/img][/td][td]Questa opera è un viaggio all'interno dell'uomo e della sua mente. Suoni circolari e ricorrenti, forme che si aggrovigliano e si sciolgono in un percorso che al primo ascolto si rivelerà assurdo e incomprensibile, ma che col tempo si mostrerà nella sua lucida follia.
"Lateralus" è il punto d'arrivo di un progetto che sviluppa il precedente "Ænima", reinventandolo in nuove sonorità, alleviando la cupezza del predecessore, ma conservando i segni fondamentali di quello che è ormai il suono-Tool: ritmi infernali, tempi dispari, progressioni armoniche e perfetta sincronia di tutti gli strumenti tra loro. Su questo mix già esplosivo si avventa come una tigre la voce straordinaria di Maynard James Keenan, capace di aggredire ogni nota per quasi 30 secondi (The Grudge) oppure prodursi in sibili disperati da monaco tibetano (Parabol). "Lateralus" è un'opera monumentale, il disco che fa incontrare progressive e metal all'inizio del secolo, andando oltre ai semplici significati musicali come vedremo più avanti, un lavoro che vede tra le sue armi migliori anche l'eccezionale crescita tecnica del batterista Danny Carey, autentico protagonista di alcuni tra gli episodi migliori del disco (Ticks & Leeches, solo per fare un nome).
"Lateralus" è un susseguirsi di rivelazioni: "The Grudge", la prima, mostra cosa sono diventati i Tool e cosa aspettarsi da questo disco. Linee serrate, tempi interminabili e giri di batteria ipnotici. Il primo minuto e mezzo è un continuo crescendo che esplode nella doppia cassa di Carey. Il pezzo si sviluppa contorcendosi su se stesso, elaborando nuove melodie che collimano tra loro. Una delle peculiarità del pezzo, che al primo ascolto appare ostico, è il suo essere completamente (oltre 8 minuti) in tonalità di re. L'apice devastante di questo capolavoro si raggiunge allo scoccare del settimo minuto, nel quale Maynard si produce in un lancinante urlo della durata di 27 secondi. La sofferenza è massima, la rabbia e il pessimismo si ripercuotono in un testo che trasuda nero da ogni parte ("Indossa la tua invidia come una corona. Disperati per controllare, incapaci di perdonare, stiamo affondando sempre di più").
Bisogna pur riprendere fiato, e a precedere "The Patient" è inserita una micro-traccia di decompressione ("Eon Blue Apocalypse", un funereo giro di chitarra acustica), che scioglie l'ascoltatore dall'atmosfera creata con la precedente e che introduce alla successiva.
"The Patient" è divisa in due parti antagoniste tra loro. La prima, minimalista e sussurrata, culla l'ascoltatore e lo porta lentamente verso la seconda: un crescendo di chitarra, basso e batteria, che con la potente voce di Maynard disegnano giri armonici che riprendono solo dopo numerose battute, ingabbiando chi ascolta in un senso di incompiutezza tanto affascinante quanto terrorizzante. Questo è uno dei pezzi più enigmatici dell'album: impossibile riuscire a decifrarlo neanche dopo 9 minuti di saliscendi musicale.
"Mantra" è la seconda micro-traccia, con un titolo che spiega bene l'essenza dell'intero progetto: un album con un che di religioso, di zen, che collide con le idee fortemente anti-religiose di Keenan. E' un minuto di silenzio apparente, ma in realtà ciò che contiene questa traccia è il miagolio rallentato all'infinito di uno dei gatti siamesi di Maynard...
Alla porta ci si presenta "Schism", brano allucinato e apoteosi del pensiero tooliano. Dal giro di basso iniziale (in 5/4) fino all'ossessiva batteria conclusiva, si abbracciano in perfetta simmetria intrecci "morbosi" senza fine, variazioni di ritmo, di intonazione e di voce, esplosioni di rabbia, tutte condensate e fuse con una naturalezza irreale, in totale armonia. Sembra quasi che si siano persi, i Tool, a un certo punto del pezzo, ma tutto culmina con la chitarra effettata in delay di Jones, che accompagna un altro testo di disagio allo stato puro ("c'è stato un tempo in cui i pezzi combaciavano ma li ho visti cadere giù, arrugginiti e infiammati, strangolati dalla nostra ambizione"). Keenan raggiunge la catarsi totale quando si dà al romanticismo ("Between supposed lovers/brothers") prima dell'ipnotico sabba finale, gli strumenti si fondono in un unico calderone di rabbia che investe l'ascoltatore portandolo con se in questa spirale paranoica. Vi consigliamo inoltre la visione dello splendido video per trarre appieno il valore di questa canzone.
"Parabol\Parabola" è forse il pezzo più orecchiabile di tutto l'album, quello più decisamente metal, è il giro di boa che porterà alla parte più fobica di "Lateralus". Come abbiamo accennato, l'intera opera è incentrata sulla matematica, e "Parabola" analizza l'omonima figura geometrica, intrecciandola finalmente con un inno alla vita ("Questo corpo mi fa sentire eterno. Tutto questo dolore è un'illusione. Io vivo"). Da leggenda il passaggio tra le due tracce, con lo splendido contrasto tra l'acustico e intimista giro di chitarra acustica e l'assordante feedback che porta alla traccia elettrica.
Possiamo parlare di una pausa. Separazione. Ciò che è accaduto finora è un capitolo chiuso.
È infatti "Ticks And Leeches" che dà il benvenuto in un mondo schizoide fatto di rabbia e illusioni, di esplosioni di ritmo e riduzioni minimaliste. È la canzone più violenta dell'album: Keenan urla tutto il suo malessere e la sezione ritmica crea un muro di suono di rara potenza. Il brano è l'apice creativo di Danny Carey, il suo trionfo.
È il contrasto il pilone portante dell'opera, continue discontinuità che ciclicamente tornano a ripetersi. "Ticks And Leeches" è un viaggio nella rabbia recondita di ognuno di noi, una canzone assolutamente tremenda. Non è mai stata riprodotta dal vivo, nonostante le insistenze dei membri della band verso Keenan. C'è da giustificarlo, in questo brano le sue corde vocali vengono messe a durissima prova, solo in una occasione la suonarono e il cantante si servì di un distorsion box per riuscire a sostenere la prova.
La title track "Lateralus" ci accoglie con una intro impercettibile di chitarra e batteria, che, crescendo, si trasforma, sbocciando in un riff di ampio respiro per poi calarsi nuovamente in ritmiche serrate. La camaleontica voce di Keenan e la chitarra di Adam Jones condensano grunge, accelerazioni punk-hardcore e un massiccio uso di effetti.
Ed è su questo brano che dobbiamo aprire una parentesi in proposito dei riferimenti matematici del disco: sulla copertina, è disegnata una spirale di Fibonacci, ovvero basata sulla serie matematica scoperta da quest'ultimo (in cui ogni numero dopo il secondo è la somma dei due termini precedenti: 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21…). Le strofe del brano "Lateralus" sono sillabate in modo da ottenere esattamente la serie di Fibonacci:
Black (1)
then (1)
white are (2)
all I see (3)
in my infancy (5)
red and yellow then came to be (8 )
e così via… (un'ultima curiosità: sul retro del cd la traccia è chiamata "Lateralis", ma è solo un errore di stampa, che riprende volutamente un precedente errore di stampa sull'album "Ænima"...).*
Quella che segue è la canzone più breve dell'album: "Disposition" (4'47"), ricorda sotto molti aspetti la versione di "Pushit" presente nel boxset "Salival": una prima parte basata solo su chitarra, basso e voce; nella seconda, invece, si distinguono l'introduzione di percussioni e un uso più deciso del basso. Curioso anche il legame con il pezzo successivo, "Reflection", una bacchetta che rimbalza su uno dei tom della batteria.
"Reflection" ci porta verso la conclusione di questo viaggio. Suoni ipnotici che si evolvono lentamente e la voce opportunamente distorta evocano nuovamente quel senso di "preghiera" che accompagna tutto il disco e che qui viene suggellato, in un crescendo verso il finale, finale che non esplode ma bensì collassa su di sé, in una depressione sonora di soli effetti. Il basso in slap, il corno africano, l'atmosfera evocativa dell'alchimia tra gli strumenti fanno di questa canzone uno dei punti massimi della carriera dei Tool, paradossalmente il pezzo meno metallico del disco. Ma le etichette sono del tutto superflue.
"Triad" è uno strumentale dall'andamento più lineare rispetto alle altre tracce: è soprattutto qui che si possono ritrovare le numerose influenze industrial che caratterizzano il suono dei Tool, e di cui si ha prova nei lavori precedenti (e soprattutto nelle tracce inedite pubblicate nel box "Salival" del 2001).
L'ultima traccia, "Faap De Oiad", è un delirio di distorsioni e percussioni, con una voce (Keenan?) filtrata in modo da simulare una conversazione telefonica. Quasi inutile, ma indispensabile per raggiungere la durata totale di 79 minuti e 30 secondi, il massimo che può stare su un cd (i nostri sono un po' schizzati, adesso possiamo dirvelo…).
"Lateralus" è un disco complesso e psicotico. Un disco che non vuole prendere polvere sulla vostra mensola. Va divorato. E ne vale la pena. sempretr][td colspan=\'2\']Recensione da Ondarock.It[/td][/tr][!-- box_end --][/table][!-- box_end --]