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Autore Discussione: 12 Ottobre 1492.-.LA CONQUISTA DELL'AMERICA. IL PROBLEMA DELL'ALTRO  (Letto 2229 volte)
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tarantola
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« inserito:: 10 Ottobre , 2006, 04:37:59 »

Nel secolo che segue il primo viaggio di Cristoforo Colombo, le regioni dei Caraibi e del Messico sono lo scenario di avvenimenti fra i più sconvolgenti della storia degli uomini. Todorov ripercorre quelle vicende, leggendole - attraverso le più famose cronache e relazioni di Cortes, Las Casas, Duran, Sahagun - non tanto quanto incontro-scontro fra due civiltà, quanto come scoperta e impatto con l'"altro".

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DOMANDA: Spesso si dimentica che la scoperta fu innanzitutto conquista, distruzione, sterminio: manifestazioni terribili di una irrefrenabile avidità di ricchezza. Come può essere accaduto tutto questo?

La passione per la ricchezza che si impadronisce degli individui a quest'epoca è qualcosa di nuovo. Certo non è stata inventata nel XVI secolo la sete dell'oro, ma è nel XVI secolo che nasce una nuova mentalità che potremmo chiamare economica e non più sociale, voglio dire con questo che l'insieme dei rapporti umani si trova riconducibile a dei rapporti economici.
Penso però che sia molto importante considerare anche una dimensione etica, morale della conquista dell'America; non si tratta solamente del fatto che gli spagnoli volevano assolutamente arricchirsi, è anche in particolar modo perché non rispettavano quegli esseri che avevano di fronte, perché li consideravano una specie di sottouomini, e questo è largamente attestato dalla letteratura dell'epoca, li consideravano come degli esseri intermedi tra le scimmie e l'uomo.
Di conseguenza non c'era nulla di contrario a sterminarli sia direttamente, per impadronirsi della loro ricchezza, sia indirettamente adoperandoli con dei ritmi di lavoro assolutamente infernali e che gli indiani non potevano sopportare e che li facevano morire a trent'anni perché non potevano sopportare che dieci anni di lavoro a quelle condizioni nelle miniere d'oro e d'argento. E' dunque un tipo di comportamento morale che è indirettamente responsabile di questo risultato spaventoso.

Abbiamo delle testimonianze del XVI secolo, di queste popolazioni che ci rappresentano la loro immagine degli spagnoli. Sono delle testimonianze estremamente emozionanti, toccanti sul piano estetico ed emotivo, ma non si può dire che gli aztechi o altri gruppi di indiani abbiano capito gli spagnoli.
Al contrario gli spagnoli ed in particolare qualcuno, come Cortés, hanno una notevole conoscenza degli indiani, di queste popolazioni sconosciute. Tuttavia dopo questa comprensione ci sono comportamenti diversi ed in effetti gli spagnoli si impadroniscono e poi distruggono.
Bisogna dirlo, ricordarlo sempre, che la conquista dell'America è il più grande genocidio che mai la storia dell'umanità abbia conosciuto perché sono morte più o meno 70 milioni di persone a seguito di questa intrusione, e questo numero rappresenta circa il 90% della popolazione del continente americano. E questo vuole dire che, anche paragonato al grande massacro del XX secolo, c'è qui un triste record.

DOMANDA: Prof. Todorov, Lei ritiene che la scoperta dell'America abbia un signifcato simbolico: la scoperta dell' "altro" o del "diverso" da parte della civiltà europea. Perché ha privilegiato proprio questo avvenimento storico?

Certamente l'incontro con l' "altro" avviene lungo tutto il corso della storia. I Greci scoprono il loro "altro" in Asia, incontrando gli Sciti, i Persiani, i barbari. I Romani si scontrano con il loro "altro" nei barbari venuti dal nord e negli invasori venuti del sud.
Se, però, dovessimo scegliere un avvenimento emblematico, credo che quello più importante per la storia europea sia la scoperta e la conquista dell'America. In primo luogo per le sue proporzioni quantitative: si tratta della scoperta dell'altra metà della terra, non di una piccola isola o di una parte interna di un continente dove non si riusciva ad arrivare; in secondo luogo questo mondo "altro" era completamente ignoto. Certamente anche gli arabi o i cinesi erano per gli europei popolazioni sconosciute, ma, per lo meno, su di essi circolavano storie e quindi se ne aveva una vaga idea.
Al contrario, riguardo a quelli che oggi noi chiamiamo "amerindi" l'ignoranza era totale. Per questo l'incontro con loro rappresenta una sorta di laboratorio privilegiato per osservare l'incontro dell'Europa con il suo "altro".
Qual é la conseguenza della conquista dell'America? Il mondo diventa piccolo, diventa una porzione di spazio conosciuta: a partire da quel momento si assottiglia lo spazio dell'alterità, la distanza della differenza. Noi sappiamo che le differenze tra culture sono indispensabili per il cammino stesso dell'umanità. Abbiamo bisogno di una distanza tra "noi" e l' "altro da noi", per riuscire a guardarci dall'esterno.
Certamente la scoperta dell'America non è la sola storia esemplare. Penso, in modo particolare, a delle vicende interessanti avvenute durante le crociate, che rappresentano l'incontro della civiltà europea con quella araba, che era, per molti aspetti, superiore. Esistono vari aneddoti. Ricordo, per esempio, un racconto di un medico arabo che registra i comportamenti "selvaggi" degli europei i quali, di fronte ad una gamba ferita, non trovano di meglio da fare che amputarla, in condizioni igieniche spesso precarie tanto che la gamba si infetta e l'uomo muore dopo tre giorni. Il medico arabo descrive gli europei come dei selvaggi che non conoscono gli elementi più semplici della medicina. Al contrario, egli sa curare queste ferite con l'applicazione di alcune piante, di unguenti che guariscono senza alcuna violenza. C'è qui un interessante sguardo gettato su di noi: gli "altri" ci colgono nel ruolo di barbari.

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Tratto dall'intervista "Universalismo e difesa dell'alterità: Las Casas e i Conquistadores" - Parigi, abitazione Todorov, mercoledì 7 dicembre 1988.

 
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« Risposta #1 inserito:: 12 Ottobre , 2006, 10:22:41 »

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Ho studiato Thodorov per l'esame di Inglese - II all'UIniversita',
e l'ho semplicemente adorato.

Riallacciandomi al tema dell' "altro", inteso come "diverso", in inglese esiste la parola "stranger" che ha una sfumatura negativa, quasi dispregiativa e che in italiano somiglia tanto al termine "strano" inteso come diverso... dalla nostra cultura, appunto. Noi lo traduciamo spesso con "straniero", forse nn a torto visto che uno "straniero" è detto tale perchè non se ne conoscono cultura nè lingua, ma il termine piu' adatto sarebbe foreigner evitando quella leggera accezione d'inferiorita' razziale che a partire da Cristoforo Colombo istintivamente proviamo verso razze e culture diverse dalla nostra.
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